martedì 31 maggio 2011

Spinoza

Siamo liberi di decidere i nostri atti o il nostro agire è causato da un insieme di determinazioni che governano la nostra volontà?

sabato 28 maggio 2011

L’inferno dei viventi

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che già è qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne.
Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio  (Italo Calvino, Le città invisibili, Oscar Mondadori, Milano,2002, pag. 164)

La scelta si impone tra il vivere tranquillo di un'esistenza senza troppi dubbi o domande poste sui perché del nostro agire e l'alternativa che porta all'inquietudine di un continuo cercare, mai saziandosi di un essere uniforme e prevedibile, curiosi di scoprire le infinite possibilità che le nostre relazioni possono costruire.

sabato 21 maggio 2011

Arte e(è) follia?

La follia di Nietzsche, la follia di Van Gogh o quella di Artaud, appartengono alla loro opera, non più né meno profondamente forse, ma in tutt'altro modo. Nel mondo moderno la frequenza di queste opere che scoppiano nella follia non prova nulla indubbiamente sulla ragione di questo mondo, sul senso di queste opere e neppure sui rapporti tra il mondo reale e gli artisti che le hanno prodotte. Questa frequenza bisogna tuttavia prenderla sul serio, come l'insistenza di una domanda; a partire da Hölderlin, il numero degli scrittori, pittori e musicisti che sono «sprofondati» nella follia si è moltiplicato; ma non inganniamoci; tra la follia e l'opera non c'è stato accomodamento, né scambio più costante, né comunicazione di linguaggio; il loro scontro è molto più pericoloso di un tempo, la loro contestazione non perdona; si tratta di vita o di morte. La follia di Artaud non si insinua negli interstizi dell'opera; essa è appunto l'assenza d'opera, la presenza ripetuta di questa assenza, il suo vuoto centrale sentito e misurato in tutte le dimensioni che non hanno confini. L'ultimo grido di Nietzsche, che si proclamava a un tempo Cristo e Diòniso, non è, ai confini della ragione e della sragione, il loro sogno comune, alfine raggiunto e subito sparito, di una riconciliazione tra «i pastori d'Arcadia e i pescatori di Tiberiade»; ma è l'annientamento stesso dell'opera che diventa impossibile da questo momento e deve tacere; il martello cade dalle mani del filosofo. E Van Gogh sapeva bene che la sua opera e la sua follia erano incompatibili, lui che non voleva domandare «il permesso di fare dei quadri a dei medici». (Michel Foucault – Storia della follia nell'età classica)

L'opera d'arte come prodotto della irrazionalità ben distinta dalla sragione, per usare i termini di Foucault, il confine è netto anche là dove la follia insinua la sua presenza? O è soltanto suggestione stereotipata che che vede l'artista in quanto “strano”, diverso e fuori dal comune, facilmente catalogabile come affine a una dimensione folle? Allora tutto ciò che è diverso, altro, è sempre catalogabile come alieno e di conseguenza potenzialmente pericoloso? Fino a che punto la difesa del nostro equilibrio basato su un quieto vivere sempre più precario, vacilla di fronte al confronto con ciò che ci destabilizza?

mercoledì 18 maggio 2011

Quando si dice il caso

Questo blog non doveva essere. Il mio blog, quello vero, doveva essere l'altro, quello che si può trovare tra le pieghe, cercando bene, di questo strano drappo che si è posto tra me e le mie intenzioni. In un'atmosfera donchisciottesca potevo scegliere se scagliarmi contro i mulini a vento restandovi appeso o  capire che potevo sfruttare l'energia data dal turbinare delle pale. Ho scelto la seconda.
Questo spiega la riverniciatura della facciata, con tanto di immagine.
Perché proprio questa immagine? Perché è un'immagine di  possibilità, un'immagine che mi fa pensare che, nonostante tutto, valga la pena di sperare in un ritorno a modi di essere e di vivere più vicini all'essenza umana autentica dove conta più l'interiorità di una persona che non la sua immagine esteriore.
Ho scelto inoltre questo quadro anche per un aspetto che mi ha sempre colpito: le mani del padre. Due mani tra loro diverse, una maschile l'altra femminile, come a unire il paterno e il materno, come a indicare la molteplicità di un abbraccio accogliente che sa proteggere e accudire, l'abbraccio che ciascuno di noi vorrebbe avere.

domenica 1 maggio 2011

Riflessioni

Tempi oscuri questi, dove le scelte riguardanti la coscienza vengono barattate in cambio di consensi, dove i valori sono merce di scambio tarati su risultati di sondaggi e proiezioni. 
Il coraggio delle posizioni scomode, impopolari, dettate da un sentire etico che prescinda da facili consensi è precluso dalla ricerca affannosa di un modus vivendi che non risulti scomodo, che non disarticoli equilibri fissati su pilastri autoreferenziali tesi soltanto alla conservazione dell'esistente.
Non mi sento di appartenere a questo coro e chiunque voglia cantare in dissonanza è il benvenuto.