mercoledì 18 maggio 2011

Quando si dice il caso

Questo blog non doveva essere. Il mio blog, quello vero, doveva essere l'altro, quello che si può trovare tra le pieghe, cercando bene, di questo strano drappo che si è posto tra me e le mie intenzioni. In un'atmosfera donchisciottesca potevo scegliere se scagliarmi contro i mulini a vento restandovi appeso o  capire che potevo sfruttare l'energia data dal turbinare delle pale. Ho scelto la seconda.
Questo spiega la riverniciatura della facciata, con tanto di immagine.
Perché proprio questa immagine? Perché è un'immagine di  possibilità, un'immagine che mi fa pensare che, nonostante tutto, valga la pena di sperare in un ritorno a modi di essere e di vivere più vicini all'essenza umana autentica dove conta più l'interiorità di una persona che non la sua immagine esteriore.
Ho scelto inoltre questo quadro anche per un aspetto che mi ha sempre colpito: le mani del padre. Due mani tra loro diverse, una maschile l'altra femminile, come a unire il paterno e il materno, come a indicare la molteplicità di un abbraccio accogliente che sa proteggere e accudire, l'abbraccio che ciascuno di noi vorrebbe avere.

5 commenti:

  1. L'abbraccio di un comune sentire, di un esserci empaticamente, nel senso di un calarsi nei panni dell'altro senza per altro dimenticare ciò che siamo ma solo sospendendo per un attimo il giudizio su chi abbiamo di fronte. In una parola: accogliere per comprendere l'altro da noi.

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  2. Un modo secondo me interessante per riuscire ad accogliere veramente l'altro e nello stesso tempo "comprendere" il diverso che è in noi sarebbe abbracciare la prospettiva che tra noi e l'altro non c'è una vera separazione: tutto è uno... siamo parti di un tutto... per quanto la nostra mente e i nostri sensi facciano fatica a vedere in questo modo.

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  3. L'essere parte di un tutto non esclude il pensare che ciascuno di noi è al tempo unico e irripetibile, almeno nella sua accezione fenomenologica.
    I tratti comuni, il patrimonio culturale e quello genetico, ci portano a pensare che siamo il prodotto di un continuum che si rinnova e si perpetua a prescindere dalle nostre manifestazioni di esistenza.
    Altro è considerare una spiritualità in senso cosmico che ci unisce a quel "tutto" al quale forse, il/la nostro/a anonimo/a si riferisce.

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  4. Blog interessante. Tornerò a leggerti ora che ti ho "appuntato" tra i preferiti.
    un saluto

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