venerdì 29 luglio 2011

Ruoli intergenerazionali

Il gioco come relazione. Passaggio intergenerazionale di saperi nel quale sperimentare il modo di essere di domani. Questo avveniva ieri, dove le competenze erano appannaggio delle generazioni adulte e i giovani avevano modo di ricevere il testimone di un'esperienza che permettesse loro di proseguire un cammino di vita.
Oggi, dove la tecnologia si muove con velocità inaudite, le competenze sono appannaggio di chi riesce a sostenerne il ritmo. Per questo l'immagine dell'anziano, da saggio trasmettitore di saperi è diventato un peso improduttivo del tutto inutile quando non dannoso.

mercoledì 27 luglio 2011

Storia d'Italia

Vi siete mai chiesti perché l'Italia non ha avuta, in tutta la sua storia - da Roma ad oggi - una sola vera rivoluzione? La risposta - chiave che apre molte porte - è forse la storia d'Italia in poche righe.
Gli italiani non sono parricidi; sono fratricidi. Romolo e Remo, Ferruccio e Maramaldo, Mussolini e i socialisti, Badoglio e Graziani... "Combatteremo" fece stampare quest'ultimo in un suo manifesto "fratelli contro fratelli". (Favorito, non determinato, dalle circostanze, fu un grido del cuore, il grido di uno che - diventato chiaro a se stesso - finalmente si sfoghi). Gli italiani sono l'unico popolo (credo) che abbiano, alla base della loro storia (o della loro leggenda) un fratricidio. Ed è solo col parricidio (uccisione del vecchio) che si inizia una rivoluzione.
Gli italiani vogliono darsi al padre ed avere da lui, in cambio, il permesso di uccidere gli altri fratelli.
(Umberto Saba, Scorciatoie e raccontini - Mondadori Editore).

sabato 23 luglio 2011

Fondamentalismo e alterità

...nel linguaggio comune, si può notare che l'impiego dell'espressione “straniero” implica una caratterizzazione in termini esclusivamente negativi, poiché allude a ciò che gli individui così designati non sono (originari del nostro paese) o a ciò che non hanno (la nostra lingua, la nostra cultura, la nostra religione). L'espressione si limita a rilevare il loro essere-esterni privo di qualsiasi altro connotato salvo quello della stranezza, che dà una particolare tonalità alla parola sia in italiano sia in francese (étranger) e in inglese (stranger). All'esteriorità si aggiunge così la nota della difformità da ciò che è consueto, e che perciò suscita perplessità e sconcerto. In molti casi, dunque, è “estraneo” o “straniero” quello che è anche percepito come “strano”.
Il primo effetto semantico di tale rappresentazione linguistica è l'oscuramento di ogni differenza tra le molteplici identità linguistiche, culturali e religiose di cui è costituita l'umanità che viene da fuori: ciò che dell'”altro” il termine straniero ritiene pertinente è semplicemente la sua non-appartenenza, rispetto alla quale ogni ulteriore nota distintiva appare irrilevante o del tutto secondaria.
L'anonimato in cui l'appellativo di “stranieri” rigetta la varietà dei gruppi umani si riflette sulla natura della relazione che entro tale orizzonte di senso diventa possibile, rendendola massimamente impersonale: ciò che mi unisce a colui che, per me, non è che uno straniero non può avere nulla di unico e di esclusivo, ma mi accomunerà a lui come un numero indeterminato e del tutto indifferenziato di altri individui; ciò che, viceversa, da lui mi divide, racchiuso nella sua strana esteriorità, acquisterà su questo sfondo un'importanza decisiva. Per questa ragione, come sottolinea ancora Simmel, lo straniero è ambivalente: vicino e lontano, escluso e incluso, attratto e respinto. Nell'interazione fra straniero e gruppo emerge una dinamica di apertura e chiusura. La chiusura risponde appunto all'esigenza della comunità di conservarsi inalterata per tutelare la propria identità; l'apertura risponde all'esigenza del rinnovamento con risorse nuove.
L'immagine degli stranieri che lo specchio del nostro linguaggio ci riflette è, dunque, quella di una massa anonima e indifferenziata di uomini che, in quanto abita la nostra terra e la nostra cultura senza affondare in esse le sue radici, ci è intrinsecamente estranea. Le molte differenze che, con le parole e con la pratica, in realtà si fanno tra differenti categorie di stranieri (comunitari ed extracomunitari, legalmente soggiornanti o clandestini, profughi, rifugiati, esiliati, ecc.) si inscrivono tutte, come determinazioni aggiuntive, entro un'identificazione al suo interno semanticamente vuota e i cui significati si addensano sul confine netto che essa demarca tra poli nettamente contrapposti. È a partire da questa struttura formale che il rapporto può configurarsi più facilmente nei termini dell'opposizione amico-nemico (Umberto Curi: Straniero – Raffaello Cortina Editore, Milano 2010).

venerdì 8 luglio 2011

L'abitudine

Al principio della mia detenzione, comunque, la cosa più dura è stata che avevo dei pensieri di uomo libero. Per esempio mi veniva voglia di essere su una spiaggia e scendere verso il mare. Quando pensavo al rumore delle prime onde sotto la pianta dei piedi, al mio corpo che entrava nell'acqua e al sollievo che ne provavo, di colpo sentivo quanto erano stretti i muri della mia prigione. Ma questo durò qualche mese soltanto. In seguito non ebbi che pensieri di prigioniero. Aspettavo la passeggiata quotidiana che facevo nel cortile della prigione, o la visita dell'avvocato. Mi arrangiavo bene col tempo che mi restava. Ho pensato spesso, allora, che se avessi dovuto vivere dentro un tronco d'albero morto, senz'altra occupazione che guardare il fiore del cielo sopra il mio capo, a poco a poco mi sarei abituato. Avrei atteso passaggi di uccelli o incontri di nubi come, lì, attendevo le strane cravatte dell'avvocato e come, in un altro mondo, aspettavo pazientemente il sabato per avere il corpo di Maria. In realtà, a pensarci bene, non ero dentro un albero morto. C'erano persone più infelici di me. Del resto era un'idea della mamma, e lei lo ripeteva sempre, che si finisce per abituarsi a tutto.
(Albert Camus – Lo straniero, pagg. 94-95 Ed. Bompiani 2010)

È veramente possibile abituarsi a tutto? Spesso ci lasciamo scorrere addosso gli eventi, bombardati come siamo di notizie di ogni genere e non ci rendiamo conto di ciò che accade veramente attorno a noi. Fatti che avrebbero suscitato, in un tempo non lontano, indignazione se non addirittura sollevazioni popolari, adesso passano in maniera indolore quasi fossero parte della normale routine di vita. La reiterazione delle vicende che contribuiscono ad alimentare il decadimento dei valori di questa società porta verso atteggiamenti di indifferenza fino a qualche tempo fa impensabili. Non mi riferisco soltanto alle tristi vicende italiane, credo sia un problema più generalizzato e tipico della civiltà occidentale, che tutto fagocita e digerisce, incapace com'è di soffermarsi a riflettere su ciò che accade, sempre proiettata verso un futuro vuoto e privo di un fondamento basato sulle origini e sulla provenienzaÈ come se vivessimo in un eterno presente, pensando a quello che faremo domani, dimenticandoci chi e cosa eravamo ieri.