venerdì 8 luglio 2011

L'abitudine

Al principio della mia detenzione, comunque, la cosa più dura è stata che avevo dei pensieri di uomo libero. Per esempio mi veniva voglia di essere su una spiaggia e scendere verso il mare. Quando pensavo al rumore delle prime onde sotto la pianta dei piedi, al mio corpo che entrava nell'acqua e al sollievo che ne provavo, di colpo sentivo quanto erano stretti i muri della mia prigione. Ma questo durò qualche mese soltanto. In seguito non ebbi che pensieri di prigioniero. Aspettavo la passeggiata quotidiana che facevo nel cortile della prigione, o la visita dell'avvocato. Mi arrangiavo bene col tempo che mi restava. Ho pensato spesso, allora, che se avessi dovuto vivere dentro un tronco d'albero morto, senz'altra occupazione che guardare il fiore del cielo sopra il mio capo, a poco a poco mi sarei abituato. Avrei atteso passaggi di uccelli o incontri di nubi come, lì, attendevo le strane cravatte dell'avvocato e come, in un altro mondo, aspettavo pazientemente il sabato per avere il corpo di Maria. In realtà, a pensarci bene, non ero dentro un albero morto. C'erano persone più infelici di me. Del resto era un'idea della mamma, e lei lo ripeteva sempre, che si finisce per abituarsi a tutto.
(Albert Camus – Lo straniero, pagg. 94-95 Ed. Bompiani 2010)

È veramente possibile abituarsi a tutto? Spesso ci lasciamo scorrere addosso gli eventi, bombardati come siamo di notizie di ogni genere e non ci rendiamo conto di ciò che accade veramente attorno a noi. Fatti che avrebbero suscitato, in un tempo non lontano, indignazione se non addirittura sollevazioni popolari, adesso passano in maniera indolore quasi fossero parte della normale routine di vita. La reiterazione delle vicende che contribuiscono ad alimentare il decadimento dei valori di questa società porta verso atteggiamenti di indifferenza fino a qualche tempo fa impensabili. Non mi riferisco soltanto alle tristi vicende italiane, credo sia un problema più generalizzato e tipico della civiltà occidentale, che tutto fagocita e digerisce, incapace com'è di soffermarsi a riflettere su ciò che accade, sempre proiettata verso un futuro vuoto e privo di un fondamento basato sulle origini e sulla provenienzaÈ come se vivessimo in un eterno presente, pensando a quello che faremo domani, dimenticandoci chi e cosa eravamo ieri.
   

4 commenti:

  1. Si, adattarsi richiede un minimo di volontà e d'intelligenza da parte della persona e si può definire come un'azione guidata dalla mente per preservarsi a punto dal disaggio che si prova sempre a cercare di muoversi in un contesto confuso. Due possibilità: non entrarci o adeguarsi, dunque scelta e qui anche c'è azione. L'abitudine è qualcosa di subdole, che s'infiltra nostro malgrado, ti sorprendi a fare le cose senza pensarci, in non conscienza, sentire senza ascoltare, guardare senza vedere. I nostri sensi non sono interpellati. Siamo in una forma passiva di vita, uno stato vegetativo.

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  2. continuo comunque a pensare che nel fondo, non ci si abitua a niente, e che gli stimoli vitali che ci permettono di reagire, di sotrarci al dolore latente, subdole dell'abitudine ci vengono da lontano. E poi c'è la paura di perdere la forma di sicurezza che ci siamo costruiti, spesso castelli di carta. Guardare alla nostra storia è importante, metterla in discussione è intelligente e coraggioso. E per fortuna c'è sempre modo di scegliere come pregare e chi pregare.

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  3. L'abitudine ha per me un significato univoco, è una forma mentis, un abito mentale, che contraddistingue l'uomo contemporaneo, sia sul piano personale che sociale. In un mondo dove tutto è freneticamente veloce, dove è più importante avere e apparire piuttosto che essere, dove tutto è facile da ottenere attraverso il dio denaro, dove ogni cosa viene brutalmente banalizzata e materializzata, la strada dell'abitudine diventa sicuramente la via più facile da percorrere. Sostiene Rita Levi Montalcini: "Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella zona grigia in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva, bisogna coltivare il coraggio di ribellarsi". E il coraggio di ribellarsi si conquista attraverso la conoscenza, la ricerca paziente, il dubbio. E’ una conquista interiore che richiede fatica, umiltà, sacrificio, parole ormai in disuso nella società occidentale contemporanea. Solo attraverso un viaggio interiore, alla ricerca dell’essenza e del significato vero e profondo dell'essere e delle cose, l’uomo potrà uscire dalla “zona grigia”, dalla terra desolata del nulla.

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  4. Zona grigia più che necessaria. Per poterne uscire bisogna entrarci. E' quella parentesi che invita al cambiamento, à quel viaggio interiore che inizia con la percezione del disaggio e non finisce più.. per quello forse molte persone rinunciano a prendere il biglietto per salire sul treno- Non si sa dove porta. Le stazioni saranno molte e difficili, più o meno lunghe. Insomma, a volte, si può anche restare in pantofole davanti al cammino e godersi il movimento delle fiamme..

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