Siamo
sulla via giusta per determinare l'essenza dell'uomo se e finché
consideriamo l'uomo come un essere vivente tra gli altri, che si
distingue rispetto alle piante, agli animali e a Dio? Si può
procedere così, si può cioè in tal modo situare l'uomo all'interno
dell'ente e considerarlo come un ente tra gli altri. Così facendo
si potranno sempre fare asserzioni corrette sull'uomo. Ma si deve
anche avere ben chiaro che così l'uomo è definitivamente cacciato
nell'ambito dell'essenza dell'animalitas, anche quando non lo
si assimila all'animale, ma gli si riconosce una differenza
specifica. In linea di principio si pensa sempre all'homo animalis
anche quando l'anima è
posta come animus sive mens,
e quindi come soggetto, come persona, come spirito. Questo modo di
porre è il modo tipico della metafisica. Ma così l'essenza
dell'uomo è stimata troppo poveramente, e non è pensata nella sua
provenienza, una provenienza essenziale che per l'umanità storica
resta sempre il futuro essenziale. La metafisica pensa l'uomo a
partire dall'animalitas,
e non pensa in direzione della sua humanitas.
La
metafisica si chiude di fronte al semplice fatto essenziale che
l'uomo si dispiega solo nella sua essenza in quanto è chiamato
dall'essere. Solo a partire da questa chiamata, l'uomo “ha”
trovato dove la sua essenza abita. Solo a partire da questo abitare
egli “ha” il linguaggio come dimora che conserva alla sua essenza
il carattere estatico. […]
Ne
consegue che di e-sistenza si può parlare solo in relazione
all'essenza dell'uomo, cioè solo in relazione al modo umano di
“essere”; perché solo l'uomo, per quanto ne abbiamo esperienza,
è coinvolto nel destino dell'e-sistenza. Perciò l'e-sistenza non
può mai essere pensata come una specie particolare tra le altre
specie di viventi, dato che l'uomo è destinato a pensare l'essenza
del suo essere, e non solo a raccontare storie naturali e storiche
sulla sua costituzione e la sua attività. (M. Heidegger, Lettera
sull'umanismo, Adelphi, Milano,
1987, pp.276-277).
… Un
avvicinamento interumano, dove non c'è la contrapposizione
soggetto-oggetto, ma un insieme di relazioni, perché l'oggetto si
risolve nel significato che esso assume per l'Io, e l'Io nell'oggetto
in cui la sua intenzionalità emotiva si evidenzia. (K. Jaspers,
Psicologia generale, Il Pensiero Scientifico, Roma 2000, p.244
).
Il
linguaggio che definisce l'uomo nella sua essenza cos'altro è se non
relazione? Possiamo quindi affermare che nella relazione “abita”
l'essere dell'uomo in quanto essenza intersoggettiva. Relazione che
si pone in essere tra soggetti che si riconoscono e si identificano
nel rapporto Io-Tu scavalcando l'oggettivazione dell'altro, diventato
a sua volta l'Io me stesso contrapposto ad un altro Io in quanto
essere identico a me, co-soggetto esperito nella relazione. Relazione
che si intenziona sulla base di codici non solo appartenenti al
linguaggio comune, ma anche e soprattutto, attraverso un medesimo
sentire fondato sull'humanitas,
la quale apre una possibilità ulteriore di relazione fondata su ciò
che definiamo empatia.