giovedì 11 ottobre 2012

La visione dell'uomo nella psicoanalisi


Dell'esatta estensione della distruzione teoretica della nozione di uomo implicita nel trattamento psicoanalitico di Freud ci facciamo un'idea completa se confrontiamo i dati di fatto, da lui stesso definiti i pilastri fondamentali della sua prassi psicoanalitica, con le basi principali della sua teoria psicoanalitica. Là la 'resistenza' e il 'transfert'; qui l'organo cerebrale materiale con i suoi organi di senso che percepiscono in maniera insufficiente la 'realtà', e una serie lacunosa di atti di coscienza. I fenomeni indicati coi nomi di 'transfert' e 'resistenza' sono fenomeni indicanti relazioni interumane, fenomeni incontestabili ed effettivi. Per contro, né la rappresentazione teorica di atti di una coscienza, né l'idea di un organo cerebrale materiale isolato, corrispondono a una realtà direttamente data. Per non parlare poi del fatto che esse non sono affatto all'origine della nostra percezione dell'uomo, come Freud continuava a ritenere. Entrambe sono invece già astrazioni completamente sospese nell'aria. Sono riduzioni ideali di determinati domini di essenza e di determinati eventi relazionali umani a entità di tipo psichico e fisico rappresentate oggettivamente. Perciò non c'è più neppure una via che riconduca da siffatte rappresentazioni alla piena comprensione di un qualsiasi comportamento umano. Una volta che si sia rappresentato il cervello umano come un organo esistente per sé o come uno strumento materiale, in qual modo potrebbero mai agire su di esso delle entità così immateriali e prive di articolazioni quali sono gli atti coscienti? In qual modo e in qual luogo una coscienza concepita così isolata potrebbe mai dimorare in un organo cerebrale; in che modo quest'organo potrebbe mai diventare un suo 'sostrato', un suo supporto? E come si potrebbe mai concepire l'affermazione che la materia di questo sostrato si volatizza da sé in atti psichici? Anzi, non si potrebbe neppure dire in che modo ciò che viene recepito dai nostri organi sensoriali possa essere trasportato in una coscienza supposta presente in qualche punto di noi e ivi trasformato in atti di coscienza dotati di significato. In realtà, i nostri organi sensoriali, in quanto tali e di per sé, non sono in grado in generale di recepire e di percepire alcunché. Chi percepisce ed è consapevole è invece sempre e soltanto l'essere umano stesso nella sua totalità. Ma allora come potrebbero i nostri organi sensoriali possedere anche “specifiche facoltà di ricezione” in conseguenza delle quali il “congetturato stato di cose reale” verrebbe mascherato in modo che noi dovremmo, ovvero potremmo soltanto, affrontarlo solo successivamente e per mezzo di complicate ipotesi dinamiche ed economiche?
Se l'uomo, con tutto il suo mondo, fosse effettivamente costituito nel modo in cui Freud, conformemente al pensiero naturalistico-scientifico dell'epoca, continuò a teorizzarlo, cioè semplicemente da meccanismi somato-psichici originariamente isolati, come quello di un telescopio, e da entità del mondo esterno; insomma, da un agglomerato di oggetti puramente-presenti e originariamente separati, non potremmo mai sperare di percepire, per non dire di capire, neppure una relazione così semplice come l'essere-di-fronte di un oggetto per un soggetto o il mio poter-incontrare un altro uomo. Tanto meno si potrebbe realmente comprendere in che modo uno possa incorrere in uno stato di 'transfert' affettivo o di intensa 'resistenza' nei riguardi del suo analista, e da costui, stando dentro un siffatto 'scenario' di collaborazione interumana, essere curato e guarito. Non si sono mai visti, infatti, meccanismi di qualunque tipo siano, che percepiscano alcunché o addirittura si amino e si odino mutuamente. Per fortuna, tutta questa automutilazione teoretica di Freud ebbe un ruolo principale soltanto nei suoi libri; nella pratica del suo lavoro, invece, Freud non cessò mai di considerare i suoi pazienti come uomini globali, né li trattò mai, ivi, come telescopi o come fasci di istinti, come pure avrebbe dovuto propriamente fare se si fosse attenuto alla sua teoria.

Medard Boss, Psicoanalisi e Analitica esistenziale, Astrolabio, Roma 1973.

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