mercoledì 12 dicembre 2012

Anima


E mentre l'essere che si è ricevuto tende a nascondersi, un qualcosa, anima si dovrebbe chiamarlo, tende a uscire dall'interno del recinto. A gran parte della Psicologia e ad altre Scienze Umane o dello Spirito ha procurato una grande tranquillità il prescindere da ciò che a noi sembra di avvertire come “questa” tradizionalmente detta anima. Cui tale sorte è toccata, senza dubbio, per il fatto di essere un presupposto metafisico, una manifestazione della vita incorporea e il sostegno – altrettanto tradizionale – o “conditio sine qua non” della mistica. Per la ragione analitica, la sua esistenza rappresenta un ostacolo: può l'anima, proprio essa, venire tranquillamente sottoposta ad analisi? Il suo concetto è un'altra cosa, può essere analizzato e perfino ricostruito come qualsiasi altro concetto; ma essa, l'anima, come può essere analizzata se non sta, propriamente, in noi, né in altro, e ancor meno in se stessa? Quando mai si è vista un'anima ripiegata in sé? Naturalmente, neanche ciò che si raccoglie in sé o attraverso cui noi ci raccogliamo in noi stessi è mai stato visto, e meno che mai all'interno di quell'indirizzo delle scienze in cui non si punta a vedere. L'anima, però, ha un movimento suo proprio, procede per conto suo e va e viene senza essere notata, o anche essendolo.

E dev'essere per questo suo singolare movimento e per il modo in cui essa lo fa sentire che la scienza preferisce non tenerne conto, dell'anima, giacché anche la psiche si muove senza requie ma con l'aria di stare sempre nello stesso posto, disponibile, statica; soprattutto questo: statica. Non manifesta alcun impulso ad andare oltre se stessa. E non va in estasi nemmeno quando si rannicchia nel subconscio. Sembra disposta a rispondere solo se la si stimola; risponde, insomma, agli stimoli.

E l'anima no; se risponde, è alla chiamata, all'invocazione e persino allo scongiuro, come attestano tante orazioni delle varie religioni tradizionali. Essa pare avere così una stretta parentela con la parola e con alcuni aspetti della musica; fondamento stesso, così ci si presenta, di ogni liturgia.

Di condizione alata e portata a fuggirsene, si comporta come una colomba. Ritorna sempre, finché un giorno scompare portando con sé l'essere che la ospitava. Quando ciò accade si continua così ad attendere che ritorni o che si sia posata in qualche luogo da dove non debba più partire, diventata alla fine una cosa sola con l'essere che si portò via. E che questo andar via sia stato per lei il ritorno definitivo a quel suo luogo di origine verso il quale continuava così tenacemente a fuggire. Ostinata colomba, come la si potrebbe convincere di nulla? Sembra sapere qualcosa che non comunica, che non dice mai perché già così affine alle parole. Non può dirsi, lei, a se stessa. Quando viene a mancare, tutto può continuare come prima nell'essere abbandonato. L'essere che l'ha perduta rimane però fermo, bloccato, in prigione. E nessun segno che non provenga da essa gli vale per orientarsi. Giacché è proprio della prigione togliere ogni orientamento a chi vi finisce. Quando sorprende una lama di luce, una voce, un semplice punto con cui orizzontarsi, il prigioniero respira, spera e, invece di cadere nell'atonia prodotta dall'assenza totale di segni che orientino la sua detenzione, rimane sul chi vive, benché essa non debba terminare che in un giorno già stabilito.

Colui che si desta con essa, con questa sua anima che non è proprietà sua finché egli non dispone di vista e di udito, si libera, si schiude nell'atto di orientarsi senza uscire di sé, lascia la tana del sogno e del non essere: essere e vita si orientano congiuntamente verso dove l'anima li porta. Rinasce. E così colui che si desta con la sua anima non teme nulla. E allorché essa parte lasciandolo in abbandono, apprende qualcosa, se non si spaventa, qualcosa della vocazione estatica dell'anima. Quel volo che nessuna analisi scientifica può raggiungere. (Maria Zambrano, Chiari del bosco, Bruno Mondadori, 2004).



Possesso o consapevolezza dell'anima, condizione necessaria ad orientarsi nel proprio stare al mondo, elemento insondabile e quindi irreale dal punto di vista scientifico o situazione indispensabile per poter udire e vedere e quindi entrare in relazione con il mondo?

2 commenti:

  1. Sicuramente si.
    Ti racconto un episodio: un persona a me cara giace sul pavimento, giunge la morte del suo corpo, all'improvviso mmi sento osservare dall'alto, mi giro e comprendo che qualcosa se n'eè andato, l'anima forse? In quel corpo sentivo non esserci più la persona, solo un corpo che la conteneva, quella persona era diventata luce.

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  2. Siamo nel campo della percezione di un qualcosa che non può essere dimostrato ma soltanto vissuto. Lo scienziato naturale chiamerebbe questa tua esperienza suggestione. Altri, e io tra questi preferiscono sospendere il giudizio dando allo spirito una sua possibilità di esistenza.

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