L'uomo non fa più parte
dell'ordine degli esseri. Non può essere semplicemente uomo. Ha
mancato la sua vocazione naturale, la sua vocazione d'uomo. Se
volesse ridiventare semplicemente uomo, uomo come l'ha fatto la
natura, non potrebbe. L'uomo si è soppresso da sé. Non si può più
classificarlo tra le creature della natura, definirlo com'è per la
sua natura. In questo senso è impossibile dire che cosa caratterizza
essenzialmente l'uomo... Per Agostino l'uomo non è un essere che si
possa senz'altro definire, che si possa afferrare in modo generale e
astratto. Questo sarebbe possibile solo se non avesse peccato; come
Adamo nel paradiso determinato dalla sua natura psicofisica e
definito in generale secondo il posto che occupa nel cosmo. Ma,
peccando, l'uomo si è distaccato da questo insieme. Ha cessato di
essere una creatura della natura; diviene uomo in senso storico, un
essere che vive in un'epoca determinata e che incontreremo una sola
volta. Diviene quest'uomo qui, che non ci interessa più per una
costituzione psicofisica definibile in generale, bensì per quello
che ha vissuto, per le sue esperienze, per la sua storia. Non vediamo
più in lui unicamente il rappresentante di una specie, definita una
volta per tutte, ma l'insieme delle esperienze attraverso le quali è
passato e che lo caratterizzano come individuo, come tipo d'uomo.
Nel
suo perdere la genericità tipica della specie, l'uomo ha acquisito
il senso dato dall'identità che lo caratterizza come essere unico e
irripetibile e non classificabile in categorie omogenee. Il dato
specifico della propria singolarità spazza via il campo delle
possibilità omologanti, nelle quali è impossibile definire l'essere
umano come un qualcosa che risponda a stilemi stereotipati. Per
quanto si possa generalizzare e uniformare i caratteri tipici che
rispondono ad una caratterizzazione uniformante un gruppo sociale, le
specificità che ne emergono potranno sempre superare la definizione
generalista che non tenga conto della identità individuale.